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lunedì 30 marzo 2020

"1837"

Non è una data di nascita o forse si. 

E' la data della prima pubblicazione della "CUCINA TEORICO-PRATICA" di Ippolito Cavalcanti, celeberrimo manuale di cucina napoletana, con un'intera sezione scritta proprio in vernacolo.

venerdì 10 aprile 2015

pastiera "di pasta"




La pastiera è uno dei dolci napoletani più diffusi ed apprezzati. Quando si parla di "pastiera" ci si riferisce quasi esclusivamente a quella di "grano" che prevede un ripieno a base di ricotta, uova, grano bollito, ed il caratteristico aroma di millefiori. 

Molti ignorano l'esistenza di quest'altro tipo di pastiera, in cui ricotta e grano vengono sostituiti dagli spaghetti, o per meglio dire dai capellini, tipo di spaghetti molto più sottili. Potremmo quindi definirla la cugina meno famosa della celeberrima pastiera di grano.

Il mio rapporto con questo dolce è strano: da piccolo lo detestavo, poi con la "maturità" ho imparato a conoscerlo ed apprezzarlo, perché esprime un concetto di semplicità unito a frugalità e creatività.

Nella mia famiglia manca una storia di questo dolce. I miei pure non lo apprezzavano molto, quindi sono andato un po' alla ricerca di alcune ricette tradizionali, in uso nelle famiglie di Torre del Greco. Qui di seguito ve ne propongo alcune, tutte di esito garantito.

sabato 14 marzo 2015

Biscotto (Crostata) all'amarena




Il "biscotto all'amarena" è un grande classico della pasticceria secca napoletana. Chi appartiene alla mia generazione non può non ricordarlo con affetto e gratitudine, in quanto ha accompagnato momenti dolci e lieti, quando il consumo di un dolce, da laboratorio per giunta, era un evento raro ed eccezionale. Per cui spesso si ripiegava sul meno blasonato (e costoso) biscotto. Purtroppo per ignote ragioni, molti laboratori lo hanno declassato e derubricato a "dolce di recupero", nel senso che tutti gli avanzi e tutto l'invenduto viene compresso aggiustato con cacao ed usato per il ripieno, che in origine, come vedremo dovrebbe essere costituito da pregiatissimo pan di Spagna. Naturalmente, è errore grave generalizzare, pertanto diamo per scontato che, fino a prova contraria, questo dolce viene realizzato secondo la ricetta originale. Qui di seguito la ricetta di P. Fulgente declinata a crostata.


domenica 21 dicembre 2014

struffoli (P. Fulgente)



Gli struffoli a Napoli sono un'ISTITUZIONE NATALIZIA, ed indispensabili durante le festività di dicembre. Sono molto semplici da realizzare, una pallina di pasta, a base di farina, uova, con o senza lievito, fritta e poi caramellata nel miele. Simbolo di festa grazie alla vivacità colorata dei "riavulilli" (mompariglia). Infondono gioia e simboleggiano fertilità ed abbondanza.


E poi... diciamo la verità, gli struffoli sono buonissimi: proprio il caso di dire che "uno tira l'altro"; un consiglio: fate come me, mangiateli con le dita, vi sembreranno ancora più buoni...

Sono particolarmente affezionato agli struffoli perché con essi ho debuttato, giovanissimo, nel magnifico mondo della pasticceria, ormai ...enti anni fa...

Come ogni preparazione napoletana che si rispetti, non esiste "la ricetta", bensì "le ricette", tante quante ogni famiglia o pasticceria, o cucina di Napoli e provincia! Le varianti? diecine, centinaia, migliaia: percentuale di uova e/o tuorlo, lievito si, lievito no; burro o strutto; alcool puro, liquore all'arancia o brandy; olio di oliva o olio di semi. Miele? millefiori, di arancia, di acacia...

domenica 14 settembre 2014

Caprese al limone (bianca)


Versione "in bianco" della più famosa caprese classica con cioccolato fondente. Molto efficace il connubio tra il limone e le mandorle. Molto indicata in estate.



mercoledì 9 ottobre 2013

Casatiello


Insieme alla pastiera ed alla cassata il Casatiello si contende l'attenzione della tavola napoletana nel periodo pasquale. Una preparazione impegnativa, sostituisce colazione/pranzo/cena dei giorni pasquali. Una volta era un prezioso "sostentamento" nelle scampagnate all'aria aperta...

Sosamielli torresi e napoletani (P. Fulgente)


Dolce natalizio "da compagnia" napoletano, risente degli influssi arabi per la persistente presenza di aromi come cannella, chiodi di garofano e noce moscata. Deve il suo nome forse al fatto che in origine al posto delle mandorle si usava il sesamo, da cui sesamiello, poi diventato sosamiello o susamiello. Indicato per trascorrere in allegria serate tra amici, sorseggiando liquori e/o rosoli, meglio se fatti in casa. 

venerdì 4 ottobre 2013

involucro sfogliatella riccia

Ingredienti
·         farina 0 Manitoba gr 1.000
·         sale gr 20
·         acqua gr 400
·         miele gr 20
·         strutto q.b.

sfogliatella frolla


Sfogliatella frolla (sfogliatella liscia)

PASTA FROLLA
·         strutto (o burro e strutto) gr 400
·         zucchero gr 400
·         acqua gr 150
·         uova, pezzi 2  120
·         miele gr 20
·         farina 00 gr 1.000
·         scorza di limone grattugiata n. 1

RIPIENO DELLA SFOGLIATELLA
·         acqua L 1
·         sale gr 10
·         semola grana grossa gr 300

giovedì 3 ottobre 2013

torta "scazzetta del cardinale"

Una torta tipica della costiera amalfitana e dell'Hinterland salernitano. Si presenta a forma bombata e di colore rosso, di qui la citazione cardinalizia.


sabato 28 settembre 2013

Caprese (torta)

Caprese

Un "classico" della pasticceria napoletana. Preparazione delicata pechè non prevede farina. La struttura portante è rappresentata dalla montata di uova che va effettuata con assoluto rigore. Irresistibile per gli amanti del cioccolato. Conosco una persona, a me vicina, che un giorno a Capri ne ha mangiata una da 10 persone.

sabato 21 settembre 2013

zeppole di S. Giuseppe (tradizione di Torre del Greco)



Questa ricetta è una delle innumerevoli che si possono trovare per la festività di S. Giuseppe. Si tratta di una ricetta "tradizionale" in uso presso le case di Torre del Greco. Vi propongo quindi quella che ho appreso direttamente dai miei genitori.

Pastiera di grano

PASTIERA   NAPOLETANA 

Un grande classico della tradizione napoletana. 



Ingredienti per due teglie da 30 cm circa:

ricotta 1 kg.; grano per pastiera 2 barattoli da 600 gr.; zucchero 900 gr.; uova 10; miele d’arancia o millefiori 100 gr.; canditi a cubetti (cedro e arancia) 150 gr.; 2/3 fiale di millefiori + 2 bacche di vaniglia; pasta frolla 1 kg.


Lavorazione.
Setacciare la ricotta dopo averla zuccherata (anche col miele), incorporare le uova, il grano (dopo averlo liberato dell'amido in eccesso attraverso un veloce risciacquo) e gli aromi, amalgamare con cura. Imburrare per bene una teglia (alta almeno 5 cm) e rivestirla con uno strato di pasta frolla dello spessore di circa ½ cm. Versarvi il composto. Guarnire con strisce di pasta frolla disposte a losanga. Cuocere a forno ben caldo (190°) adagiando la teglia della pastiera in un tegame da forno. La cottura verrà ultimata col grill superiore per dare una piacevole doratura alla pastiera. Lasciare riposare, conservare al fresco ma non in frigo. Preferire il forno a gas o al massimo un elettrico ma senza ventilazione. Il segreto di un’ottima pastiera sta nella sensazione di “bagnato” che l’interno deve rilasciare.




Come già detto rappresenta un vero punto di forza della pasticceria napoletana. Si tratta di una dolce da forno composto da un guscio di pasta frolla che raccoglie un composto di ricotta, uova zucchero, e grano bollito. L'aroma che caratterizza la pastiera è il millefiori in fiala. Ma contribuiscono anche i canditi (arancia e cedro) e la vaniglia. Anche per la pastiera si registrano numerosissime ricette a seconda della diversa proporzione fra i vari ingredienti, ed in taluni casi anche per la loro lavorazione. Taluni usano frullare il grano, altri montano le uova o il bianco. Esistono anche versioni che prevedono l'uso della crema pasticciera. In tutti i casi la pastiera deve presentare una caratteristica, a mio giudizio essenziale, ossia non deve essere "asciutta", o peggio ancora "secca". Anche perché, la pastiera, essendo un dolce molto strutturato, darà il meglio di se, in termini di aromi ed equilibri, dopo uno/due giorni dalla sua preparazione, periodo durante il quale essa perde inevitabilmente parte della sua umidità iniziale. Per evitare la sgradevole sensazione di asciutto, è indispensabile disporre di una ricetta molto ben bilanciata (un piccolo accorgimento consiste nel sostituire il 10 % dello zucchero con del miele millefiori), ma è altrettanto importante avere la massima cura nella fase di cottura. La temperatura del forno deve garantire, ovviamente la perfetta cottura, ma il prodotto deve conservare al suo interno una certa umidità, inoltre la pastiera deve presentare un' invitante colorazione tendente al nocciola (per le losanghe di pasta frolla) e marrone lucido per il resto. La temperatura di cottura standard indicata è pari a 180°, ma dal momento che ogni forno è un mondo a sé, ciascun operatore avrà cura di individuare la condizione ottimale.


pastiera 1 (P. Fulgente)

ü  ricotta 1,5 kg.;
ü  grano per pastiera precotto 750 gr (latte l1,2 burro 30 gr scorza di limone e ed arancia. Mettere a bollire tutto quanto il giorno prima, fino a quando il composto non diventi cremoso);
ü  zucchero 1000 gr.;
ü  Tuorli 300 gr;
ü  miele d’arancia o millefiori 100 gr.;
ü  canditi a cubetti (cedro e arancia) 150 gr.;
ü  2/3 fiale di millefiori + 2 bacche di vaniglia + cannella; 
ü  pasta frolla 1 kg.

pastiera 2 (A. Cafiero)

ü  ricotta 500 gr.;
ü  grano per pastiera precotto 250 gr;
ü  zucchero 400 gr.;
ü  uova n° 6;
ü  burro 50 gr
ü  latte 5 dl.;
ü  canditi a cubetti (cedro e arancia) 200 gr.;
ü  1/2 fiale di millefiori + 2 bacche di vaniglia + cannella; 

ü  pasta frolla 1 kg.


martedì 17 settembre 2013

Pasticcetti crema ed amarena


Dolce semplicissimo. Le cose semplici sono sempre le migliori. Molto indicato per smaltire residui di frolla e/o crema. La sua caratteristica dipende dal contrasto tra l'esterno croccante e l'interno morbido, ma anche dall'acidulo dell'amarena attutito dalla dolcezza della crema pasticcera. Ingiustamente relegato a dolce da prima colazione, lo trovo sublime...

Ingredienti:

Lavorazione:
Rivestire degli stampi di pasta frolla. Riempire di crema pasticciera, ed aggiungere un paio di amarene per ogni pasticcetto, oppure un o' di scaglie di cioccolato. Coprire con altra pasta frolla, saldare bene con la parte inferiore, spennellare di uovo. Cuocere a 180° fino a doratura. Tener presente che la cottura interessa solo la frolla esterna. Il ripieno deve restare morbido ed umido.



babà napoletano


Ingredienti babà (N.B. Per altre 3 ricette vedere in fondo al post):

RICETTA 1

Farina gr 500 (RIGOROSAMENTE "forte" ossia del tipo speciale, detta "americana" o "manitoba"); uova 6, acqua 90 gr, zucchero 50 gr, lievito di birra 30 gr; burro gr 150; sale 10 gr.



RICETTA 2 (S. Sirica)

  • farina americana 500 gr
  • sale 10 gr
  • zucchero 50 gr
  • lievito di birra 20 gr
  • uova 670 gr
  • burro 175 g
Inserire nell'impastatrice la farina, il sale e 1/3 delle uova, aggiungere il lievito di birra, poi gradatamente le restanti uova. Aggiungere poi lo zucchero e far assorbire. Poi il burro morbido poco per volta. Impastare fino alla prova del velo. Far puntare mezz'ora poi inserire negli appositi stampi per 1/3.


Cottura a 210° per 10/15 minuti secondo grandezza ed in base alle caratteristiche del forno!


Bagna:
Acqua 1 litro; zucchero 6-800 gr (secondo gusto, anche meno); rum a 70° o liquori di agrumi 100 gr; scorze di agrumi vari.

Attrezzatura:
20 bicchierini di alluminio, o uno stampo grande per babà, una frusta elettrica con innesto a spirale

lavorazione:


Preparare un panetto qualche ora prima di iniziare la lavorazione, con il lievito, 50 gr di farina e qualche manciata di acqua; 



aggiungere poi la restante farina, le uova (inizialmente solo 4) poi  lo zucchero e il sale, poi le altre due uova, e lavorare lentamente con l'aiuto di una frusta elettrica usando le spirali. Lavorare a lungo. 


Quando la pasta è ben soda, incorporarvi il burro a temperatura ambiente e lavorare ancora abbastanza a lungo (lentamente e facendo ripetute interruzioni per evitare che la frusta surriscaldi troppo). Quando la pasta è ben liscia e setosa ed ha una consistenza molto elastica (VERIFICARE CON LA "prova del velo"), effettuare la puntatura e pirlatura realizzando o una massa grande per il savarin o delle palline da 40 gr. Le palline vanno arrotolate ed inserite negli appositi bicchierini di alluminio (o tutto l'impasto nello stampo unico da savarin) preventivamente imburrati. Gli stampi vanno riempiti per 1/3.

Qui di seguito un breve video per mostrare la tecnica usata dai maestri pasticcieri napoletani, che "mozzano" la pasta "strozzandola" tra indice e pollice:







Far riposare, al chiuso, circa 1,5 ore (anche 2 se d'inverno) e comunque fino a quando la pasta non inizia a sbordare. Cuocere in forno già caldo a 200° fino a quando i baba' non raggiungono una colorazione nocciola chiaro. Far raffreddare, nel frattempo sciogliere lo zucchero in acqua calda e far insaporire con le scorze di agrumi mettervi il rum e/o il liquore di agrumi secondo il proprio gusto ed inzupparvi i baba' nello sciroppo ancora ben caldo. Assicurarsi che siano completamente imbevuti di sciroppo. Strizzarli per espellere il liquido eccedente, gustarli preferibilmente il giorno successivo. 

A piacere spennellare con gelatina di albicocca o neutra per favorirne la conservazione (la gelatina previene la dispersione di umidità), ma anche per renderlo più invitante e più lucido:

per una guarnizione più sontuosa si possono applicare dei mini savarin sopra un savarin grande:







Il Babà


Il babà è senza dubbio insieme alla sfogliatella ed alla pastiera, il pilastro potante della pasticceria napoletana. Pur essendo un dolce che fa categoria a se stante, potremmo tranquillamente farlo rientrare nella più vasta categorie delle paste lievitate, e più specificatamente nelle brioches, dal momento che trattasi proprio di una brioche che viene poi sottoposta ad una tipica inzuppatura.
Come tutte le brioches, quindi, prevede l'impiego di farina di forza, uova, burro, lievito compresso, e con l'unica variante che la quantità di zucchero è ridotta al minimo dal momento che il dolce viene zuccherato dallo sciroppo con cui si inzuppa. Come tutti i prodotti lievitati quindi necessita della formazione di una maglia glutinica molto resistente, tale da reggere non solo la lievitazione, ma deve anche conservare un'elevatissima capacità di idratazione dopo la cottura. Per questa ragione la farina indicata deve avere determinate caratteristiche (vedi pag. 4), in assenza delle quali un risultato soddisfacente può essere seriamente compromesso.
La tecnica indicata è la stessa dei lievitati, ossia la preparazione di pre-lievito, la formazione di maglia glutinica con una lavorazione prolungata di farina e uova, ed una volta formata la maglia glutinica si aggiunge il burro. La pasta deve risultare liscia e setosa di aspetto, e estremamente elastica. E' consigliato osservare un breve periodo di riposo, dopo il quale si provvede a spezzare la pasta e collocarla nello stampo prescelto (bicchiere di alluminio per il babà classico o stampino per mini savarin, p stampo grande per ciambella per savarin grande). La pasta viene lasciata a lievitare fino al raddoppio, proseguendo poi con la cottura a forno sostenuto per evitare un'eccessiva asciugatura.
La bagna si prepara facendo sciogliere tutto lo zucchero in acqua calda dove si è lasciata in infusione la buccia degli agrumi (60/70°) ed incorporando il liquore.

Per facilitare l'inzuppatura è consigliabile usare lo sciroppo ben caldo (50/60°).
E' preferibile anche preparare (e cuocere) il babà due giorni prima, ed inzupparlo il giorno prima del suo impiego, ciò per favorire una buona amalgama dei 4 sapori fondamentali: uova, burro, lievito e rhum.  

NOTA SU: SAVARIN E BABÀ
Il savarin ha avuto questo nome in onore di Jean Anthelme Brillat-Savarin , nato a Belley in Francia il 1° aprile 1755 e morto a Parigi nel febbraio 1826 . È comunque assai probabile che Savarin non abbia neppur saputo di tanta attenzione, perchè ne sarebbe stato felice.
Brillat-Savarin fu giurista , politico, uomo di ampia cultura e di attento studio dei suoi contemporanei. Scrisse numerose opere di economia politica, di teoria giudiziaria, di archeologia, ma stranamente deve la sua fama alla "Fisiologia del gusto " (ovvero meditazioni di gastronomia trascendente).
È forse un momento felice , per questo genere di scritti ; nello stesso anno e dallo stesso editore (A.C.F. Fayot) Antoinin Carèrne fa uscire "Aforismi, pensieri e massime " sulla buona cucina.
Ed in Germania C.F. von Rumhor dà alle stampe lo "Spirito dell 'arte culinaria" sotto il falso nome di Joseph K6nig, che in effetti era il suo cuoco. Ma è fuor di dubbio che la versatilità e lo spirito di Brillat-Savarin, sopravanzano di gran lunga gli autori suoi contemporanei (del genere) anche se il libro impiega un certo tempo ad esser preso in considerazione.
La vita di Brillat-Savarin scorre per un lungo periodo tranquilla tra Belley e Parigi, finché viene sconvolta dalla Rivoluzione, che nel 1792 lo induce ad espatriare, prima in Svizzera poi negli Stati Uniti.
Rientra tre anni dopo , e placatisi gli animi, egli viene riammesso in magistratura, dove perviene sino al grado di Presidente di Cassazione.
Da quel momento inizia la sua attività letteraria. La "Fisiologia del gusto " si rivela un ottimo lavoro di uomo di buona cultura e di profondo spirito di osservazione ; con la stessa incisività vi si leggono divagazioni sull'abbigliamento e sull'apparecchiare la tavola, come sulla preparazione dell'anguilla e la cottura del rombo.
Ma è tutt'altro che un libro di cucina; è un libro sulla filosofia della buona cucina.
L'Autore sarà stato senza dubbio un goloso, ma era del pari, certamente, anche un esteta.
Si potrebbe esser sfiorati dal dubbio che Brillat-Savarin sia morto di indigestione; no, egli muore di un banale raffreddore trascurato che si è buscato ad una messa funebre.
A lui dunque, ed alla sua personalità viene dedicato un dolce , a forma di ciambella, che ormai tutti chiamiamo "savarin", forse senza neppure chiedersi perché. Concettualmente però, non è un dolce nuovo, perché il suo impasto discende direttamente dal più antico BABÀ, arricchito e guarnito.
Quindi di sfuggita accenniamo al BABÀ. Babà è parola di origine turca, ed al di là del proprio significato letterale di "padre", è attributo di considerazione che si esprime a persone di grande rispetto.
Occasionalmente diremo che il capo più occidentale dell'Anatolia è Capo Babà; ma questo non c'entra niente!
Orbene agli inizi del 1700, il re di Polonia Stanislao I, aveva tra i suoi cuochi un giovane pasticciere, proveniente dall 'Anatolia, di nome Kara, che gli aveva inventato e dedicato un dolce a forma conica, come il copricapo turco.
Dolce inzuppato e profumato , come tutti i dolci anche parzialmente orientali. Quando Stanislao Leszczynski, nel 1735, venne spodestato dal suo trono, dovette rifugiarsi nel piccolo Ducato di Lorena, dove riprese in tono minore la sua vita di corte. Qui il babà veniva servito nei suoi pranzi, qui era conosciuto e consumato e da qui esportato
verso Parigi.
Si inzuppava allora di sciroppo e di cognac; l'uso di umettarlo con rum è assai più recente. Quanta parte di ciò sia storia e quanta leggenda, non sapremmo precisare; siamo venuti a conoscenza di queste notizie e le trasmettiamo in piena buona fede.
D'altra parte in cose ben più importanti di queste, la leggenda entra a far parte della storia, con santa pace per tutti.

IL BABA’: Tra storia e leggenda, dalla musicalità della parola alla piacevolezza del palato 

I napoletani hanno il pregio di dare, col loro dialetto, musicalità ad una frase, a un discorso. Il dialetto partenopeo è l’unico linguaggio regi
onale così adatto alla musica: le parole si accorciano e si allungano seguendo le note, si personalizzano facilmente, hanno mille significati a seconda del contesto in cui sono inserite. Questo vale anche per il cibo, la principale preoccupazione quotidiana con cui Napoli ha dovuto fare i conti dal ’600 a tutto il Dopoguerra, sino agli anni ’60, dal precapitalismo alla società postindustriale quando alla povertà si è passati al benessere tale da rendere disponibile più facilmente il cibo per la sopravvivenza fisica senza angoscia. 
I napoletani hanno innumerevoli espressioni in cui il carattere è associato ad uno stato fisico più che mentale, alcune anche un po’ volgari ricche di sfumature la cui traduzione in italiano, a volte, non rende spesso esattamente l’idea di ciò che in realtà si vuole rappresentare. Ad esempio, “si nu’ babbà” detto ad una persona indica qualcuno dal carattere dolce, disponibile, oppure bravo nell’eseguire qualcosa di particolarmente difficile, o, ancora, si può usare per ringraziare di un regalo o di un’attenzione. Ma non solo una persona, anche una cosa può essere “nu’ babà”, magari un oggetto particolarmente bello e funzionante. 
La parola babà ha,quindi, un significato estremamente positivo apprezzato in quanto capace di riflettere i pregi migliori: l’equilibrio dei sapori e di consistenza con cui si esprime questo dolce, la sua praticità e, al tempo stesso, l’estrema pazienza richiesta da ben tre lievitazioni nella ricetta classica.
Il babà è, a pieno titolo, un "dolce di città" perché necessita sapienza consolidata per prepararlo, una profonda conoscenza dei tempi di cottura, di lavorazione e di lievitazione rapportati alla temperatura esterna e all’umidità presente nell’aria, proprio come la pizza. È dolce da città perché da passeggio: si entra, si prende e si mangia continuando la passeggiata, con un piattino e forchetta o usando le mani e dunque, a dispetto delle sue origini,ed è molto "democratico", perché mette sullo stesso piano chi ozia e chi lavora, chi è ricco e chi è povero.
Eppure proprio come la pizza, la pasta, il caffè, il babà non è nato alle pendici del Vesuvio ma nel freddo Nord Europa e, mentre la stragrande maggioranza dei dolci nasce nella civiltà contadina, il babà è di origine reale, frutto di un’idea di Stanislao Leszczynski, due volte re di Polonia, duca di Lorena e suocero di luigi XV. Leggenda vuole che Stanislao, esule in Francia, trascorresse il suo tempo dilettandosi in cucina e apportando bizzarre varianti ai dolci, la sua passione, della tradizione austriaca, come il kugelopf, mezzo panettone e mezzo brioche, apportando nuove e più ricche elaborazioni con l’impasto lievitato tre volte e sbattuto per ottenere una pasta più leggera, dandogli la forma della cupola di Santa Sofia e il nome di Ali Babà, il protagonista de “Le Mille e una notte”. In origine era pieno d’uvetta di Corinto e di Smirne ed era di pasta gialla perché arricchito di zafferano. 
Un altro salto di qualità è la decisione della bagna, necessaria per sostenere la morbidezza del dolce altrimenti destinato rapidamente a pietrificarsi in poche ore, con sciroppo di zucchero e il rhum giamaicano, l’ultimo, all'epoca, dei benefici importati dall’Oltreoceano.
Il dolce venne così introdotto a corte e, da qui, si diffuse successivamente in tutta Europa, benché la sua maggiore diffusione si ebbe, in primis, a Parigi. Qui fu introdotto, all’inizio dell’Ottocento, dal famoso cuoco e sublime pasticciere polacco Sthorer, a Luneville con un proprio laboratorio a rue Montorgueil, ancora oggi esistente al numero 52. Qui si creò il babà a forma di fungo o cappello di cuoco così come sono giunti fino a noi. Più tardi, Jean Anthelme Brillat-Savarin regala ai fratelli Julien il babà a forma di ciambella nel cui centro immergere la frutta per il loro laboratorio sul boulevard St.Honoré: eliminata l’uvetta, aggiunto il burro, una spennellata di marmellata di albicocche per salvare la bagna più a lungo ed è così che da Ali Babà si passa a Babà.
Il Babà è simbolo del filo diretto con cui Napoli è sempre stata legata a Parigi negli ultimi tre secoli. Un legame nato precisamente quando Maria Antonietta sposa Luigi XVI mentre Maria Carolina si lega a soli sedici anni nel 1768 per procura a Ferdinando IV di Borbone. Nasce così l’epopea del gattò, della besciamella, del gratin, degli sciu e di quei termini francesi con cui la cucina napoletana conosce l’influenza d’Oltralpe. Questo dolce impiegherà quasi settant’anni per arrivare a Napoli. Le prime attestazioni documentate risalgono all’inizio dell’Ottocento, in un ricettario misto di piatti francesi e napoletani. L’insediamento ufficiale è nel manuale dell’Angeletti, cuoco di Maria Luigia di Parma (1836). Per molto tempo resterà, quindi, un dolce delle cucine aristocratiche e solo dopo l’Unità d’Italia arriverà nelle pasticcerie, privato definitivamente di una componente (i canditi), aromatizzato e bagnato. Pare che i grandi signori napoletani, infatti, sin dalla fine dell’Ottocento, spedissero i loro cuochi a Parigi, per erudirli sulle haute cuisine. E probabilmente fu proprio uno di questi cuochi che importò il babà a Napoli, conferendogli quella forma e determinando quelle particolari dosi di sciroppo e liquore che hanno fatto di questo dolce un prodotto caratteristico della pasticceria partenopea.
L’ultima moda è il babà al limoncello o alla crema di limone, nato a Capri, un infuso capace di prendere il posto rapidamente del rhum e di aprire così la disputa fra tradizionalisti e innovatori, valorizzando l’agrumato, la necessaria acidità per equilibrare ulteriormente nel babà la sensazione di dolce, a volte zuccherosa quando il rhum è di qualità scadente. Ecco allora la freschezza regalata dagli agrumi e, nel caso del limoncello, dagli oli essenziali della buccia del limone. Una nuova formula anche per il rilancio del dolce...


E non poteva mancare la poesia in dialetto partenopeo


'O babà
Primma ‘e Natale giravano accussì pe’ Napule,
San Giuseppe ‘a Madonna e ‘o Bammeniello,
doppo magnato ‘a cantina, pasta e fasule
cu quatte cape ‘e sasicce e cu ‘e friarielle...
se vuttajeno ‘e spicce ‘e spicce dint’‘a na pasticceria
“Peppì tu ‘o ssaje pe' chisti dolce io, jesco impazzì,
spicialmente p’‘a pasticceria napulitana...è na fantasia
tu piglià chello che vuò j' assaggio stu babà!Me fà murì!
Peppì passame nu sarvietto me stò spurcanno 
chistu babà è chino‘e ruhm…stà scurrenno,
e comm’ è sapurito ‘e ddete me stò alleccanno!
“ Marì ma che faje ‘a ggente te stà guardanno!”
E cche me ne ‘mporta chistu sfizio m’ha dda passà
so’ duimila anne sempe ‘e stessi ccose...uffà!
Peppì Peppì… nun veco ‘o Bammeniello addò stà?
“Marì stà llà, se stà magnanno pur’Isso nu babà!”
Peppì chist’anno ‘e Rre Magi , saje che te voglio dì?
‘o posto ‘e purtà : Oro,‘ncienzo e birra...(‘a mirra Marì!)
‘e facimmo purtà nu paro ‘e guantiere ‘e chisti babà…
p’‘a Madonna tutto ‘o Presepio avimma fà cunzulà!

Altre ricette:
babà 1
·        farina 180 g
·        burro 125 g
·        lievito di birra 20 g
·        zucchero 1 cucchiaio
·        sale 1 pizzico
·        panna liquida 50 g (da incorporare dopo il burro)
·        uova n° 3

babà 2 (P. Fulgente)
·        farina 1000 g
·        burro 300/350 g
·        lievito di birra 50 g
·        zucchero 80 g
·        sale 20 g
·        uova intere (18-20 pezzi) 1000 g


babà 3 (A. Cafiero)
·        farina "0" 250 g
·        burro 80 g
·        lievito di birra 20 g
·        zucchero 25 g
·        sale 1 pizzico
·        uova intere n° 5