lunedì 11 novembre 2013

dell'autolisi (Giorilli)

I segreti dell’autolisi




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a cura di Piergiorgio Giorilli
(Maestro Panificatore, Docente e Presidente del Richemont Club Italia e Internazionale)

La corretta esecuzione dell’impasto è fondamentale nella preparazione del pane e, più in generale, di tutti i prodotti da forno. La qualità e le caratteristiche del prodotto finito dipendono in larga misura da come viene gestita questa fase del lavoro. I metodi per preparare l’impasto sono numerosi. I più comuni sono sicuramente il sistema diretto, che prevede la lavorazione di tutti gli ingredienti in un’unica fase, e indiretto, che richiede dapprima la preparazione di un preimpasto (biga o poolish) a base di farina, acqua e lievito compresso. Questo preimpasto, dopo un periodo di fermentazione, viene versato nella vasca dell’impastatrice e lavorato con gli altri ingredienti previsti dalla ricetta. Esiste anche un metodo semidiretto, che utilizza la pasta di riporto oppure un pre-fermento, oltre a tecniche particolari come l’impasto intensificato o l’impasto a caldo.
La tecnica in tre fasi
Per la panificazione con lievito naturale è particolarmente indicata la tecnica dell’autolisi. Si tratta di una metodologia di lavoro che consente di sfruttare l’autoevoluzione del glutine. Il sistema con autolisi si sviluppa in tre fasi distinte: la miscelazione iniziale della farina con una parte dell’acqua, il riposo dell’impasto autolitico così ottenuto e, infine, l’impasto finale. La prima fase della preparazione di un impasto autolitico consiste quindi nell’impastare molto delicatamente la farina e il 55% dell’acqua prevista dalla ricetta. Utilizzando un’impastatrice a spirale, per esempio, saranno sufficienti 5/8 minuti in 1° velocità. La seconda fase, ovvero il riposo di questo primo impasto, può durare da 20 minuti a 24 ore. La durata del riposo di un impasto autolitico si stabilisce in base alle caratteristiche della farina e alle esigenze produttive. In linea generale, quanto più la farina è forte e resistente, tanto più lungo dovrà essere il periodo di riposo. Se questo lasso di tempo è superiore alle 5/6 ore è consigliabile aggiungere alla miscela di acqua e farina anche una parte del sale e ridurre la quantità di acqua al 45/50%. In questo caso è bene che la successiva conservazione avvenga a una temperatura di 18°/20°C. Per tempi di riposo più brevi, l’impasto può invece essere lasciato a temperatura ambiente, eventualmente anche nella stessa vasca dell’impastatrice. Trascorso il periodo di autolisi si passa alla terza fase, ovvero all’impasto finale. È a questo punto che vengono aggiunti tutti gli altri ingredienti della ricetta: il lievito, il malto, l’acqua eventualmente rimasta, il sale e, naturalmente, altri ingredienti previsti per il tipo di pane che si sta preparando. Si procede quindi a impastare, in seconda velocità, per il tempo necessario. L’impasto ottenuto può essere utilizzato totalmente per l’esecuzione del prodotto (tutta la farina della ricetta viene adoperata per autolisi) o anche parzialmente; in questo caso, in fase di impasto finale, viene aggiunta dell’altra farina (la cui quantità non deve superare cinque volte quella della farina utilizzata per autolisi ).

I vantaggi dell’autolisi
La tecnica dell’autolisi conferisce al prodotto finale un sapore caratteristico, un ottimo sviluppo e una più lunga shelf-life. Questo sistema ha, inoltre, il vantaggio di ridurre i tempi di lavorazione, mentre la consistenza dell’impasto diventa particolarmente liscia e malleabile, la formatura risulta più agevole e il prodotto finito presenta volume superiore, migliore alveolatura e maggiore sofficità della mollica. Tutti questi vantaggi sono il risultato di processi fisici e chimici che hanno luogo durante il riposo della pasta. In questa fase, infatti, l’impasto subisce, al suo interno, importanti modifiche. In particolare avviene l’idrolisi (dal greco hydro = acqua, e lysis = sciogliere, è l’insieme di diverse reazioni chimiche in cui una molecola viene scissa in due o più parti per inserimento di una molecola di acqua) dei suoi componenti ad opera degli enzimi (in particolare amilasi e proteasi), attivati dall’acqua dell’impasto. Sotto l’azione degli enzimi amilasi, l’amido si scinde in zuccheri, fornendo così elementi nutritivi ai lieviti contenuti nell’impasto. Di conseguenza, la fermentazione successiva dell’impasto finale sarà agevolata e anche le caratteristiche organolettiche del prodotto finale saranno migliori (il gusto e il profumo in particolare). Gli enzimi proteasi, invece, sono protagonisti della reazione di proteolisi. Si tratta di un processo che avviene normalmente in tutti gli impasti, ma che si sviluppa soprattutto durante il periodo di riposo e consiste nella “frantumazione” della maglia glutinica dell’impasto in pezzi più piccoli. In questo modo le catene proteiche si allungano e la pasta acquista maggiore estensibilità, diventando più malleabile. La proteolisi può essere più o meno attiva in relazione a diversi fattori: la struttura delle proteine (in particolare le proprietà del glutine ), l’attività enzimatica della farina, la presenza nell’impasto di determinate sostanze, la temperatura dell’impasto ecc… Se la proteolisi è la reazione base che avviene nell’impasto autolitico, non è l’unica che trasforma le proprietà del glutine della pasta. Nell’impasto avviene, infatti, anche una reazione opposta, ovvero il rafforzamento della maglia glutinica dovuto all’azione dell’ossigeno dell’aria, inglobato dalla pasta durante la lavorazione (reazione di ossidazione). Sotto l’azione dell’ossigeno, i gruppi tiolici della maglia glutinica (SH-) si trasformano in ponti disolfurici (-S=S-). Come conseguenza, il glutine si rinforza, diventa più elastico e sarà in grado di assorbire quantità superiori d’acqua. Tale reazione avviene soprattutto nella prima e nell’ultima fase (quella dell’impasto finale). In misura minore, si sviluppa anche durante il riposo della pasta. Proteolisi e ossidazione, agiscono quindi contemporaneamente sulla maglia glutinica. Di conseguenza, le catene proteiche si allungano, si gonfiano, assorbendo aria e acqua, e completano la loro idratazione; così l’impasto durante la lavorazione finale raggiunge la migliore consistenza in periodo più breve e con quantità d’acqua maggiori. In altri termini, l’autolisi è una tecnica, che dona all’impasto una particolare estensibilità, ma nello stesso tempo migliora l’elasticità e il grado d’assorbimento dell’acqua. I tempi d’impasto si riducono e l’impasto risulta particolarmente liscio. Questa tecnica è particolarmente utile per la panificazione con il lievito naturale (date le caratteristiche dell’impasto, che risulta sempre un po’ più “nervoso”, meno liscio rispetto a quello a base di lievito compresso, a causa dell’acidità contenuta; caratteristica questa, ancora più marcata se il lievito naturale è più forte o più acido del dovuto), oppure quando si utilizzano farine molto resistenti. Per gli impasti dei dolci da ricorrenza a base di lievito naturale, che contengono un’alta percentuale di materia grassa e hanno naturalmente una buona estensibilità, questa tecnica non offre vantaggi particolarmente evidenti, mentre per gli impasti con lievito naturale non contenenti i condimenti risulta quasi indispensabile.

1 commento:

  1. Trovo questo articolo particolarmente interessante. Un approfondimento scientifico che descrive, in maniera mirabile ed estremamente comprensibile, un processo che spesso viene svolto quasi istintivamente, senza chiedersi un perchè. La panificazione è un'arte e un miracolo della vita. Grazie 😊

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